“Intervista al Signor Gastone Garziera”
Gastone Garziera, nato nel 1942, informatico, venne assunto da Mario Tchou nel ’62 per lavorare nel laboratorio elettronico dell’Olivetti. Fece parte del team di Pier Giorgio Perotto nella costruzione del P101, il primo personal computer della storia del mondo. Quindi progettò la P101 nel ’64, la P652 nel ’73, la P6060 nel’75 e la P6066 nel ’78.
Quando pensa ad Adriano Olivetti cosa le viene in mente?
Ritorno subito ragazzino, a quando avevo 19 anni e venni assunto all’Olivetti. Fu la mia prima esperienza lavorativa, perciò pensai che questo clima aziendale fosse normale per tutti gli altri ambienti lavorativi. Solo con il passare del tempo percepii le differenze e compresi chi fu veramente Adriano Olivetti. Un mondo basato sulla collaborazione, sull’imparare in modo costante, sul confrontarsi e rispettarsi. Sarei ritornato sempre alle esperienze fatte dal ’62 al ’78, in un ambiente idilliaco, la “valle dell’Eden”.
Come descriverebbe il luogo lavorativo del laboratorio elettronico?
L’ambiente era formato prevalentemente da giovani e il nostro direttore, l’ingegner Perotto, insegnava all’università, lasciando a noi il lavoro. All’inizio ero timido e non osavo proporre le mie idee, poi un giorno Perotto mi disse: «se ha delle idee le esponga, le mettiamo in fattor comune. Se non vanno bene, ha modo di imparare da altri suoi colleghi. Qua si discute costantemente». Insomma, era un luogo ove vigeva la collaborazione. Eravamo liberi di inventare, creare e progettare senza chiedere il permesso.
Qual era l’obiettivo del sig. Olivetti?
Il suo obiettivo non era né il profitto né l’azienda stessa, ma cercare di vedere il mondo esterno: la comunità sociale. Dunque si occupò dell’urbanistica, di piani regolatori: le case e l’azienda dovevano essere ben distribuite e rispondevano a criteri di abitabilità. Faceva trovare sempre al momento esatto i pullman per riportare i pendolari nelle proprie abitazioni. Cercava di rendere la vita fisiologica. Voleva far vivere bene le persone, vederle lavorare in modo entusiasta. Il lavoro non doveva opprimere l’uomo, pensiero nato dalla sua prima esperienza aziendale in giovane età. Per questo era mal visto dalle altre aziende e dai sindacati stessi.
Quale pensiero le viene suscitato in mente nel sentire nominare l’anno 1978?
«Bene, ottima domanda». Fui assunto nel ’62 dall’ing. Mario Tchou, il quale morì pochi mesi dopo il mio arrivo. Posso affermare di aver vissuto le due fasi dell’azienda, la prima antecedente il ’78, la seconda successiva a quella data. La prima rispecchiava i valori e gli obiettivi di Adriano Olivetti, portati avanti dal figlio Roberto. La seconda cominciò nel momento in cui De Benedetti divenne direttore: il suo obiettivo era il profitto e non più la vita sociale, il benessere complessivo delle persone. Cambiò l’umore e l’ambiente lavorativo. De Benedetti cominciò a licenziare e assumere nuovo personale ogni sei mesi. Quando al sig. Adriano fu comunicato la necessità di licenziare poiché vi era la crisi di sovrapproduzione, anziché licenziare, assunse nuovi rappresentanti esperti per esportare i suoi prodotti. Due fasi una l’opposta all’altra.
Quali erano gli aspetti più innovativi nell’organizzazione dell’azienda?
Io la paragono sempre alla “Valle dell’Eden”. Moltissima disponibilità da parte dell’azienda stessa. Potevi trovare qualsiasi libro t’interessasse e se non vi era nella biblioteca, veniva ordinato immediatamente. Trovavi le ultime riviste di qualsiasi argomento.